Nasce il Cops Lives Matter
- 15 febbraio 2024
Siamo un gruppo di appartenenti alla Polizia di Stato che, anche in virtù dell’esperienza sindacale svolta, ha maturato la convinzione che occorra stimolare riflessioni intorno al tema delle tutele professionali degli operatori delle Forze di Polizia.
Le donne e gli uomini delle forze dell’ordine rimangono infatti sullo sfondo, per non dire a margine, del dibattito sulla sicurezza, di cui si occupano con assorbente interesse gli organi di stampa in una prospettiva che si focalizza sulla dialettica politica. In pari tempo le cronache giudiziarie si limitano a riproporre le tesi contenute negli atti delle indagini preliminari, o a riferire circa gli esiti dei processi. Si avverte così l’assenza di approfondimenti critici sul sistema processuale penale. Se si dovesse ragionare in termini di produttività, una qualche perplessità dovrebbe pur sorgere nel momento in cui si constata l’impressionante mole di procedimenti penali che si concludono con archiviazioni, assoluzioni o per la maturazione della prescrizione.
A chi obiettasse che l’argomento non appare pertinente agli interessi delle forze di polizia sarebbe agevole replicare che, purtroppo, sono migliaia i poliziotti, i carabinieri, i finanzieri ed i poliziotti penitenziari che ogni anno vengono iscritti nel registro delle notizie di reato. Circostanze che, proprio per quanto premesso, vengono enfatizzate sugli organi di stampa, senza che però a tali vicende sia poi dedicato altrettanto spazio mediatico nel momento in cui, come accade nella quasi totalità dei casi, sia accertata la loro estraneità alle originarie ipotesi accusatorie.
Questa disutilità, di natura meramente morale, è in realtà quella meno preoccupante. Per chi veste una divisa, infatti, l’essere sottoposto ad un procedimento penale è l’inizio di una serie di patimenti tangibili come il blocco delle promozioni per anzianità, la rimozione cautelativa dall’incarico per il quale sono state avviate le indagini e, non da ultimo, la nomina di un avvocato che comporta uscite patrimoniali importanti. E questo quando, secondo l’attuale assetto ordinamentale, tanto l’eventuale concessione dell’eventuale anticipazione, quanto il rimborso al termine del procedimento, sono assoggettati ad una procedura farraginosa che, nella migliore delle ipotesi, impone tempi di attesa estremamente dilatati.
Dal nostro osservatorio abbiamo riscontrato come l’Avvocatura dello Stato, di prassi, operi un ridimensionamento delle parcelle presentate per il rimborso. Per di più, anche nel caso in cui sia stata pronunciata l’assoluzione, rigetti l’istanza di rimborso adducendo persino, come di recente è accaduto, che era stata utilizzata una formula dubitativa, sebbene come ognuno che pratica il campo del diritto ben sa tale aberrante istituto è stato rimosso dall’ordinamento con la riforma del codice di rito entrata in vigore nel 1989.
In altri termini un poliziotto che finisce sotto processo, per quanto sia affermata la sua innocenza, è comunque gravato di conseguenze economiche e di dolorose sofferenze che non trovano nel sistema alcuna forma di ristoro.
In disparte crediamo indifferibile riconsiderare i criteri per l’applicazione di misure cautelari, che vengono disposte a carico degli appartenenti alle forze di polizia con sempre maggior frequenza e che sembrano essere oramai immaginate più come una condanna anticipata che per rispondere all’effettiva esigenza di impedire la reiterazione del reato contestato. Parlare di esigenze cautelari quanto sono intercorsi anni dal momento dell’ipotizzata condotta, e magari quando l’interessato è già stato spostato ad altro incarico non essendo così più in grado, anche volendolo, di replicare le condotte riprovevoli ascritte, è una contraddizione in termini alla quale non sembrano appassionarsi in molti. Una disarmonia ancora più grave se posta in relazione con la conclusione del processo in senso favorevole agli indagati che, come detto poc’anzi, è circostanza tutto tranne che eccezionale.
Un capitolo a parte merita di essere dedicato alla diversa questione delle violenze e delle aggressioni perpetrate nei confronti della forza pubblica. Da un lato, per quanto ciò possa suscitare incredulità, le cure riabilitative derivanti da infortuni in servizio non trovano copertura alcuna. Se si trattasse solo di dover pagare i rituali ticket, sarebbe anche un problema tutto sommato sopportabile. Quando invece occorre rivolgersi a specialisti, per terapie che non sono somministrate dal servizio sanitario nazionale, o per accedere alle quali occorrono comunque tempi di attesa eterni, al personale in divisa non resta che aprire il proprio portafoglio per poter tornare al lavoro quando prima. Una premura che potrebbe stupire solo chi non sa che rimanere assente dal servizio significa perdere centinaia di euro al mese di indennità.
Anche qui i numeri sono eloquenti. Dai dati recuperati dalle amministrazioni di riferimento si calcola che, con stima approssimata per difetto, si siano contati ogni anno 3000 feriti in servizio tra le forze dell’ordine, quindi una media di circa 8 al giorno. Infortuni riconducibili, nella generalità dei casi, a violenza altrui, con quasi nessuna possibilità di sperare di poter recuperare, in tutto o in parte, i danni subiti, atteso che gli antagonisti sono per lo più insolvibili.
Al danno poi si aggiunge la beffa, perché mentre l’apparato giudiziario dimostra un peculiare zelo nel celebrare i processi a carico del personale in divisa, evidenzia assai meno dedizione nell’esercitare l’azione penale nei confronti di chi li aggredisce. Non disponiamo di dati certificati, ma possiamo affermare sulla base di conoscenza empirica che, tranne i casi in cui si procede per arresto in flagranza, i crimini commessi contro gli operatori delle forze di polizia rimangono quasi sempre impuniti. E quando pure si arriva ad una condanna, questa è poco più che simbolica, perché restando contenuta entro pochi mesi di reclusione è ampiamente al di sotto della soglia che fa scattare l’effettiva detenzione carceraria.
Una mancanza di risposta dello Stato a chi aggredisce le sue propaggini più avanzate che lo rappresentano sul territorio, ed una mancanza di effettività della pena che finisce con l’incentivare comportamenti devianti alimentando una spirale di violenza che attinge anche tutti gli altri lavoratori impiegati nelle helping professions, a partire del personale ospedaliero dei Pronto Soccorso, fino ad arrivare agli insegnanti ed ai presidi di istituti scolastici.
Per quanto occorrer possa non crediamo di sbilanciarci in azzardate valutazioni se affermiamo che il venir meno di ogni autorevolezza del sistema punitivo penale finisce per compromettere ogni forma di deterrenza anche nell’ambito delle violenze in famiglia o tra conoscenti, che sfociano poi nelle drammatiche statistiche dei femminicidi.
Chiariti i presupposti che hanno animato la nostra iniziativa contiamo ora di dar vita ad una campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, alla quale possano poi aderire quanti nella società civile hanno, come noi, interesse per la tutela degli operatori delle forze di polizia.
Non escludiamo, ed anzi prevediamo, che questa esperienza possa poi strutturarsi in una forma associativa che abbia quale fine statutario la valorizzazione e la tutela della professionalità degli operatori delle forze di polizia.
Perché è di cristallina evidenza la correlazione tra le condizioni di lavoro del personale in divisa ed i risultati che sono in grado di esprimere in termini di efficacia ed efficienza dell’azione di prevenzione e repressione loro demandata.
Da qui la scelta della denominazione di “Cops lives matter”, una sorta di ragione sociale che esprime la volontà, e prima ancora la necessità, di riportare al centro dell’attenzione di cittadini, istituzioni, decisore politico e legislatore la “questione sicurezza” declinata sul versante dell’attenzione per le condizioni di lavoro del personale in divisa, essendo di cristallina evidenza la stretta correlazione di queste con le performance dell’apparato preposto ad assicurare il mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica.
Guardiamo insomma alla creazione non già ad un circolo chiuso riservato ai soli addetti ai lavori, bensì ad un contenitore all’interno del quale possa trovare espressione un quanto più ampio ventaglio di idee e di pensieri di quanti condividano la nostra proposta.
Lo faremo innanzitutto con l’attivazione di un sito, già registrato e in corso di implementazione, nel quale pubblicheremo notizie, o per meglio dire, denunceremo gli sconcertanti risvolti di vicende giudiziarie ed umane di donne e uomini in divisa che sono andati incontro a vicissitudini analoghe a quelle che abbiamo sommariamente passato in rassegna in questa nota di presentazione.
In un secondo momento promuoveremo momenti di confronto pubblico finalizzati da un lato ad accrescere la coscienza collettiva sulle difficoltà che incontrano i lavoratori della sicurezza. Dall’altro ad offrire strumenti di comprensione utili a costruire percorsi legislativi per rimuovere le poliformi criticità con le quali si confrontano quotidianamente gli operatori delle forze dell’ordine.
Nel frattempo proseguiremo i contatti con quanti già hanno manifestato il loro interesse per il nostro progetto, confidando che possa ad esso aderire un significativo ed eterogeneo campione di consociati.